Lewis Russell
La Spada della Svastica
Aggiornamento: 19 gen 2019

Africa del Nord, giugno 1941
«Stuka!»
All’improvviso un boato scosse tutto l’ambiente: un camion esplose, fu avvolto da una nuvola di fuoco che sollevò una grande quantità di sabbia. Attraverso quella polvere mille fuochi partivano verso il cielo e rendevano assordante tutto l’ambiente: le batterie antiaeree cercavano in qualche modo di contrastare i bombardieri Junkers Ju 87 “Stuka” che popolavano sempre più i cieli e devastavano ogni cosa, riducendo in polvere la città nella quale l’esiguo contingente inglese si era stanziato.
«Evans, coprici!»
Proprio su quelle che una volta dovevano essere le mura della città, di fianco ai resti fumanti di un piccolo carro armato, un uomo puntava il suo fucile mitragliatore Bren contro una trincea, mentre con tutta fretta due uomini lo raggiunsero: uno di loro portava una piccola cassa oblunga.
«Wilson, ce l’hai?»
«Signorsì, signore!»
«Allora muoviamo il culo. Seguitemi!»
Il trio si addentrò velocemente nella trincea, tenendosi sempre bassi. Il piccolo fossato finì subito e presto, tra le rovine della città, apparì una piccola salvezza: una Jeep Willys.
«Evans, alla mitragliatrice. Wilson, poggia quel coso, siedi davanti e prendi questo.» disse l’uomo mentre si avviava verso il posto di guida, porgendo il suo fucile mitragliatore Bren al compagno. Salì subito sulla macchina e con fretta girò la chiave che era già nel quadro. Il veicolo, però, non si avviò, ma tossì sonoramente.
«Signore, abbiamo compagnia!»
L’uomo che aveva chiamato Wilson aveva ragione, dallo specchietto retrovisore riusciva a vedere degli uomini arrivare. Erano armati e ben poco amichevoli.
«Merda! Coprici Evans!»
L’uomo di nome Evans non si fece attendere e, girandosi, scatenò tutta la potenza della mitragliatrice Browning montata sulla jeep contro il piccolo contingente nemico arrivato, falciando facilmente un paio di uomini. Gli altri, però, si nascosero tra le rovine: il trio era in difficoltà, visto che la jeep era totalmente in campo aperto. Intanto anche Wilson era sceso e, con il suo Bren, tentava di arginare l’avanzata nemica.
«Merda, merda, merda!» la macchina non voleva saperne di avviarsi, mentre intanto qualche pallottola tintinnava colpendo la sua carrozzeria.
«Ci accerchieranno, signore!»
«Cazzo!» l’uomo stava già per cercare un’altra strategia, quando all’improvviso, a un nuovo tentativo di girare la chiave nel quadro, uno strano suono di salvezza si riuscì a udire: il motore della macchina si era avviato.
«Andiamo Wilson!»
L’unico uomo a essere sceso dal veicolo ne risalì subito. Il guidatore affondò il piede sul pedale dell’acceleratore e la piccola Willys partì sgommando.
«Tenetevi forte!»
La jeep a quella velocità non riusciva ad avere gran presa sul terreno sabbioso. Dietro il guidatore, il soldato Evans tempestava di colpi i contingenti nemici che spuntavano ovunque dietro di lui, mentre Wilson con il suo fucile cercava di colpire quelli che aveva davanti. Ormai la piccola Jeep si stava per guadagnare la libertà, stava per lasciarsi quella città infuocata dietro le spalle. Quando accadde. Evans, alla mitragliatrice, lo vide per primo e sbiancò di paura. Un mastodontico oggetto venne fuori da una di quelle case semidistrutte.
«Panzer!» riuscì a urlare.
L’uomo alla guida sterzò violentemente per evitarlo ed Evans quasi cadde dalla sua postazione. Tuttavia, l’imponente carro armato era troppo vicino e fece subito fuoco con le sue mitragliatrici verso le gomme della macchina. La jeep, lanciata a una velocità eccessiva, perse aderenza e scivolò, ma subito cadde e si ribaltò orribilmente su se stessa, abbattendosi sul suolo più volte. Terminò la sua corsa con le ruote rivolte al cielo e dell’olio sul terreno che si iniziò velocemente a mischiare a del sangue.
Qualche giorno dopo, quegli assordanti rumori erano cessati. La città cercava di riprendere un po’ di tranquillità, come era tranquillo il dolce Mar Mediterraneo sul quale si affacciava. Nella piazza principale, due imponenti carri armati Panzer distoglievano l’attenzione da una piccola tenda che era stata posizionata lateralmente, nella quale un uomo con una splendida uniforme guardava assorto una mappa stesa su un tavolo. Con lui c’erano altri uomini, sempre in uniforme, che spiavano le onorificenze del primo con un misto di ammirazione e stupore. «Dobbiamo muoverci velocemente signori, non possiamo permetterci di rimanere qui a Tobruch. Le divisione corazzate del nemico si ritirano verso l’Egitto: lì troveranno rifornimenti. Noi dobbiamo impedire che li raggiungano. Le inseguiremo.»
A un tratto, però, il rumore di un veicolo totalmente estraneo sembrò intromettersi nel discorso. Era un mezzo distate dalla guerra, che aveva difficoltà a muoversi nella sabbia che era ovunque: si trattava di una elegante e lussuosa Mercedes nera, che si parcheggiò proprio al centro della piazza. Dalla macchina scese una persona oscura, che nonostante il caldo asfissiante sembrava nascondersi nel suo cappotto di pelle nera. Il berretto con il teschio, la fascia rossa con la svastica sul braccio fecero gelare tutti i presenti nella piazza, anche le persone nella tenda, luogo verso il quale la persona iniziò a camminare velocemente. L’uomo che stava parlando però non era riuscito a vedere nulla, perché banalmente stava dando le spalle alla piazza: si accorse che qualcosa era successo dal fatto che tutte le persone che aveva davanti si fossero come pietrificate. Si voltò con disinvoltura, mentre la nuova persona con l’impermeabile di pelle gli si arrestò proprio davanti.
«Heil Hitler!» urlò, tendendo la mano.
Era, incredibilmente, una donna.
«Heil Hitler.» rispose l’uomo, per poi subito continuare.
«Da quando questa scatolone di sabbia interessa alle SS?»
«Da quando rappresenta una delle glorie del nostro Reich, generale. Mi presento, sono l’Obersturmführer Hessel e le porto dal Führer stesso vive congratulazioni per la conquista di Tobruch.»
Il generale guardò con scetticismo la donna che aveva davanti.
«Quindi, Obersturmführer, lei mi vuole far credere che è venuta direttamente da Berlino in questo posto dimenticato da Dio, solo per complimentarsi?»
«Avrei qualcos’altro da chiederle, generale.»
«Lo sospettavo.»
«Potremmo parlare in privato?»
«Certamente. Signori…» si rivolse agli altri occupanti della tenda «…ci scusereste?»
Tutti annuirono e andarono via dalla tenda. L’uomo guardò ancora più profondamente la donna che aveva davanti, i suoi occhi gelidi, la sua bocca che subito tornò a parlare.
«Lei, generale, ha qualcosa che interessa al Führer stesso.»
L’uomo sorrise.
«E il nostro Führer ha qualcosa che interessa a me. Dove sono i miei rifornimenti? Dobbiamo ripartire al più presto.»
«Non è affar mio, generale.»
«O, lo è eccome, Oberstumführer» disse lui più minacciosamente «torni a Berlino in men che non si dica e chieda al suo caro Führer di darci quei maledetti rifornimenti, se vuole vedere una vittoria definitiva in Africa.»
«Generale, il suo tono è inaccettabile. Ricordi che lei è qui dove si trova ora solo perché è nelle grazie del Führer. Molti, nella sua Berlino, non la vedono di buon occhio.»
«Questa è una velata minaccia, Obersturmführer?»
«È un avviso, generale. Ma le ripeto che io sono qui solo per un motivo, poi andrò via come sono venuta.»
L’uomo sbuffò.
«Cosa diavolo vuole Hitler?»
«Mi risulta, generale, che abbiate rinvenuto un oggetto molto particolare, che degli inglesi stavano cercando di portare fuori da Tobruch.»
Il generale sgranò gli occhi: anche se delle famigerate SS, ignorava totalmente come potesse aver avuto accesso a quell’informazione.
«È corretto.»
«In rappresentanza del Führer Adolf Hitler le chiedo di consegnarmelo immediatamente.» L’uomo, non capendo cosa avesse avuto quell’oggetto di così importante, chiamò un soldato e gli diede degli ordini. Si dileguò subito, per poi tornare velocemente con una ingombrante scatola di legno, rettangolare. La porse alla donna, che la prese facilmente e sorrise.
«La ringrazio. La chiamano la volpe del deserto, generale Rommel. Grazie a lei la Vittoria Finale è sempre più vicina. Sieg Heils!»
«I miei rifornimenti, Obersturmführer» rispose di malavoglia lui.
«Farò presente all’alto comando le sue richieste» disse lei, già camminando verso la sua Mercedes, che ripartì velocemente fuori dalla città.
Il caldo dell’estate africana era solo un ricordo ormai e una fresca brezza animava le foglie di quella foresta. I suoi dolci profumi, i suoi leggeri suoni creavano un quadro meraviglioso. Eppure, aguzzando lo sguardo, era possibile vedere che quella cornice incantata era popolata da neri spettri che la controllavano attentamente. Noncurandosene, un uomo e una donna passeggiavano tranquillamente. L’uomo, basso e con una mano tremolante, aveva in mano una cassa, che subito aprì. Prese il suo contenuto: una spada di vetro, dai tagli luminosi.
«Quindi questa è lei?» disse il piccolo uomo.
La donna annuì.
«Confido che ne sapremmo fare buon uso.»
«Ha la mia parola, mein Füher.»
Nota Storica
Uno dei teatri di guerra di maggior rilevanza della Seconda Guerra Mondiale è senz’altro quello del Nord Africa. Gli scontri iniziano sotto ordine di Mussolini, quando l’Italia, attraverso i suoi possedimenti in Libia, cerca di attaccare gli inglesi stanziati in Egitto. Se dapprima questi attacchi hanno successo, ben presto gli italiani dovranno chiedere supporto ai tedeschi, che costituiranno il temibile reparto degli Afrika Korps, guidati dal generale Edwin Rommel. Hitler non vuole solo aiutare gli italiani, ma ha un piano megalomane: quello di far ricongiungere le sue armate africane con quelle che stanno invadendo la Russia, schiacciando l’intera Europa in una terribile tenaglia in grado di distruggere gli Alleati su tutti i fronti e arrivare alla sua desiderata Vittoria Finale. Il piano, ovviamente, non si realizzerà mai. Infatti, seppur le forze dell’Asse riescano a segnare importanti vittorie, come la conquista di Tobruch descritta nel racconto, ben presto gli Alleati riescono a rispondere. Quando ormai Rommel è tornato in Germania, malato, un nuovo intrepido generale è al comando le truppe alleate: Bernard Montgomery, “Monty”. Grazie a lui le forze italo-tedesche saranno definitivamente sconfitte e ricacciate in mare: gli Alleati non si fermeranno e subito inseguiranno i fuggitivi in Italia, uno degli ultimi teatri della Seconda Guerra Mondiale, nel quale le forze nazi-fasciste verranno sconfitte definitivamente.L’ultima parte del racconto, tuttavia, non è ambientata in Africa, ma nella Wolfsschanze, un bunker immerso nella foresta di conifere della Prussia Orientale, quartier generale di Hitler dal 1941 fino al 1944. Dopo quell’anno tornerà di nuovo a Berlino, dove troverà la morte suicidandosi nel 1945, ponendo fine alla Seconda Guerra Mondiale in Europa.
Katherina Hessel tornerà