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  • Immagine del redattoreLewis Russell

L'Aquila Immortale

Questo racconto è un seguito diretto di "Xifote: l'ultimo grido dell'Aquila" e ne contiene vari riferimenti, pertanto vi consiglio di leggere quella storia prima di questa. La trovate qui: Xifote: l'ultimo grido dell'Aquila

Britannia, 507 d.C


La selva era fitta e nel buio della notte sembrava nascondere mille insidie e pericoli.

L’uomo avanzava cautamente, cercando di trovare conforto negli occhi del suo accompagnatore. Sì, lui c’era, lo precedeva di pochi passi.

All’improvviso, un ululato squarciò il silenzio della notte. Come d’istinto, la mano dell’uomo afferrò l’elsa della spada che pendeva dalla sua vita, mentre i suoi occhi cercarono il nemico invisibile che si celava nel buio.

Non c’era nessuno però, l’ululato era lontano.

«Siamo quasi arrivati, mio re.» disse a bassa voce l’accompagnatore, tranquillizzandolo.

Ben presto la vegetazione scomparse e davanti ai due uomini la magnifica Luna piena rivelò un grande specchio d’acqua.

L’uomo lanciò un’occhiata al suo accompagnatore, che gli indicò proprio quell’acqua.

«Entri nel lago, sire.»

L’uomo, dapprima stupito, eseguì l’ordine e fece qualche passo in avanti, fin quando i suoi stivali furono bagnati dalla gelida acqua lacustre.

Fu allora che accadde qualcosa di straordinario.

Una luce azzurra sembrò provenire da sotto l’acqua e illuminò innaturalmente tutti i dintorni del lago con un bagliore soffuso.

L’uomo gelò nel vedere che una forma umana si era materializzata e avanzava verso di lui.

Di nuovo, istintivamente, portò la mano alla spada.

Era una donna. Una donna magra, dalla carnagione chiarissima, ancora più risaltata dall’antica tunica bianca che indossava.

Quando fu a pochi passi, lui poté ammirare i suoi profondi occhi marroni e i suoi lunghi capelli castani.

«Salve, tribuno Ambrosio Aureliano.»

L’uomo fu molto colpito da come la donna lo aveva chiamato.

«È da molto tempo che nessuno usa più quel nome. Con chi ho il piacere di parlare?»

«Mi chiamavano Urania, ma ora puoi chiamarmi Morgana, mio re.»

«Urania… la musa dell’astronomia. Non pensavo esisteste realmente, voi.»

«Le fedi cambiano, mio re. Gli imperi cadono. I nomi, prima celebri, vengono dimenticati. Tu non sei venuto qui per il mio nome, però. Sei venuto qui per qualcos’altro.»

Lo sguardo sicuro del re si scostò dai profondi occhi della donna e, quasi con timidezza, si spostò sulla superficie del lago e sulla vegetazione circostante, trasmettendo un leggero senso di tristezza.

«Sono venuto per chiederti di nuovo di lei.»


Qualche mese prima tutto era sembrato normale quando l’uomo era tornato da una solita battuta di caccia. C’era stato però qualcosa di particolare: qualcuno lo aveva aspettato.

«Sire, abbiamo visite.»

«Chi?»

«Un messaggero dall’Europa. Le chiede udienza.»

«Molto bene. Lo riceverò subito.»

Insieme ai suoi compagni di caccia, aveva attraversato la città, splendida con i suoi vicoli brulicanti di vita, persone che salutavano e riverivano il sovrano che umilmente passava tra loro, tra le solenni costruzioni in marmo bianco. Arrivò presto al palazzo e alla semplice sala del trono, dove un uomo lo stava aspettando.

«Benvenuto a Camulodunum, messaggero.» aveva detto, avvicinandosi e sedendosi sul trono «mi hanno riferito che porti notizie dal continente, è sempre un piacere ascoltarle. Prego.»

Il messaggero aveva fatto un inchino e aveva iniziato a parlare.

«Maestà, come sapete gli equilibri in Europa sono stati profondamente sconvolti dalla sconfitta del magister militum Siagrio.»

«Siagrio era il comandante in capo dell’esercito dell’Impero Romano, un impero che non esiste più. Dovrei forse nutrire dubbi su quanto le vostre notizie siano recenti?»

«No, sire, ma certamente saprà anche chi lo ha sconfitto.»

«Perfettamente, la tribù barbara dei Franchi.» il re aveva pronunciato la frase quasi con stizza, sottolineando la parola barbaro. Il messaggero era sembrato leggermente turbato per questo.

«Esatto, sire. Saprà però sicuramente che quella tribù ha lasciato alle spalle il suo aspetto barbarico, si è costituita in un regno, e che la nuova dinastia dei Merovingi sia diventata la più potente d’Europa. Dopo la conversione, i loro rapporti con la Santa Sede sono diventati ottimi e quello che vengo a riportarvi è come Sua Santità Papa Simmaco abbia affermato che il loro sia il regno benedetto da nostro Signore Gesù Cristo, e grazie a essi stia riuscendo a risolvere le battaglie intestine che coinvolgono l’Italia, e la città di Roma in particolare.»

Il solo aver nominato quella città aveva suscitato una forte emozione nel re.

«Ti ringrazio per queste notizie, messaggero. Sono convinto tuttavia che tu non abbia fatto tutta questa strada per riferirmi solo di guerre in Italia.»

«Sua maestà è infinitamente astuta. Sono stato inviato da Sua Eccellenza Clodoveo I, attuale sovrano dei Franchi. Il vostro regno oltremanica è noto, come è nota la sua discendenza romana, per questo Sua Eccellenza avanza la proposta di unire i due regni, creare una potenza formidabile in grado da fornire all’Europa il potere imperiale che ha sempre necessitato e che ora risulta vacante.»

Il messaggero aveva concluso il suo discorso con fare pomposo, ma il re era sembrato scettico.

«Mi permetto di nutrire dei dubbi quando mi si parla di un franco che vuole restaurare l’Impero Romano.»

«I vostri dubbi sono pienamente comprensibili, maestà. Ma vi potrei narrare nel dettaglio come Sua Eccellenza Clodoveo si sia più volte schierato nella difesa di Sua Santità e della cristianità intera.»

Ancora una volta, il re aveva esitato.

«La tua proposta è degna della nostra attenzione, ma è di tale portata che non può generare una decisione immediata. Ti prego di rimanere nelle nostre stanze e riposarti. Sarai trattato degnamente. Appena avrò una risposta per te, potrai ripartire e comunicarla a sua Eccellenza Clodoveo I.»

«La sua saggezza è illuminante, potente re. La ringrazio infinitamente.»


I giorni erano passati, ma la decisione non era arrivata. Il re era pensoso, riflessivo, anche la sera quando, dal suo letto, il suo sguardo fuggiva verso il cielo oltre la finestra.

Una di quelle sere, la Luna era stata bellissima.

«Stai ancora pensando a Clodoveo, mio amato?»

Lo sguardo del re aveva lasciato la Luna per percorrere le forme della donna che aveva di fianco. Non era più giovane, ma i suoi occhi erano rimasti gli stessi, più belli della Luna del cielo.

«Ricordi quando ci incontrammo per la prima volta?» aveva detto lei.

«Come se fosse ieri.»

«Ma è stato anni e anni fa. A Petrana. Ricordi cosa ti dissi?»

L’uomo l’aveva guardata con più curiosità.

«Ti dissi come ogni popolo barbaro guardasse con ammirazione Roma, di come nessuno volesse realmente distruggere quell’immensa cultura.»

«Forse…» aveva continuato «…dovresti dare una possibilità ai Franchi.»

Il re sospirò.

«Purtroppo, amore mio, ho paura. Dobbiamo essere onesti con noi stessi: il nostro regno è piccolo, è debole, non può competere con quello dei Franchi. È molto probabile che diventeremo uno stato vassallo di Clodoveo.»

«Se è così, mio amato, perché non hai già rifiutato la proposta?»

Ancora una volta il re aveva preso del tempo, prima di rispondere.

«E se fosse la cosa più giusta da fare?»

«Non comprendo, mio amato.»

«Essere parte di una nazione forte ci aiuterebbe. Ci permetterebbe di ristabilire un controllo sul continente.»

«A quale prezzo però, mio amato? La libertà? La sottomissione delle nostre genti? Dovremmo dimenticare il nostro sogno di una Britannia unita, per tornare in Europa?»

Il re era stato nuovamente in silenzio.

«Grazie, mia amata. Non esiste donna più saggia di te, né in quest’isola, né nel mondo intero. Sei la mia forza, regina Ginevra.»


«È palese» aveva detto un giovane uomo con una sfarzosa armatura, stando in piedi come tanti altri ai bordi di un tavolo insolitamente rotondo «che l’unione del regno di Britannia con quello dei franchi non possa che portare gioia e potenza. Potremmo davvero ambire alla restaurazione di un impero che controlli l’Europa intera, come stanno cercando di fare, fallendo, gli imperatori di Costantinopoli.»

«Ser Mordred» aveva detto qualcun altro, da un’altra parte del tavolo «quello che dice ha senso solo se il nostro re verrà incoronato imperatore. Al momento, io vedo solo una pura e semplice annessione dei nostri territori ai regnanti franchi. Chi ci dice che verrano rispettati i nostri usi e costumi? Chi ci dice che non verremmo nuovamente soverchiati dalla barbarie?»

«Ser Lancillotto» aveva detto qualcun altro da una parte ancora diversa del tavolo, qualcuno che indossava l’armatura più modesta di tutti, ma che aveva una corona al capo «la prego di non parlare di barbari. Non esistono più barbari, come non esistono più romani. Esistono Britanni, Angli, Sassoni. Dobbiamo guardare in faccia alla realtà: la nostra lega non è forte come quella dei Franchi. Abbiamo ancora tanto da unire per arrivare a eguagliare la loro potenza. C’è tanta strada da fare, e per quello che vedo dobbiamo continuare il sogno di unire le varie popolazioni nella nostra isola. Per questo ho deciso che declineremo l’offerta di Clodoveo e ci concentreremo sugli affari interni.»

L’uomo chiamato Mordred si era infuriato.

«Questa è follia, sire! Stiamo mostrando la nostra vulnerabilità. Stiamo dando via il sogno di restaurare l’Impero. Il sogno di conquistare l’Europa!»

«Non è mai stato il nostro sogno, Ser Mordred.» aveva risposto il re in tono severo «Il nostro sogno è quello di una Britannia unita. Così è stato deciso, e così sarà fatto.»

Il cavaliere, stizzito, aveva gettato la sua spada sulla tavola rotonda e se n’era andato in collera.


«Non concordi con la mia decisione, amico mio?» aveva detto il re tempo dopo, nella sala del trono, mentre un’altra persona, nascosta in un abito lungo, guardava l’esterno da una finestra.

«La sua decisione è stata saggia, sire.»

«C’è però qualcosa che non ti convince, lo capisco. Tu vedi nel futuro, amico mio. Dimmi perché.»

L’uomo nell’abito aveva esitato.

«Mio re, non è possibile giocare con il tempo, rivelare il futuro equivale a cambiarlo. Mi preoccupano solo le grandi difficoltà che affronterete. Ma vi posso garantire che i vostri ideali si realizzeranno, mio re. La vostra nazione prospererà.»

L’espressione del re era stata enigmatica, stanca. Era andato vicino all’altro uomo e gli aveva dato una pacca sulla spalla. Lui si era girato, i due si erano guardati intensamente negli occhi.

«Posso porti un’ultima domanda, amico mio?»

«Ogni suo desiderio è un ordine per me, mio re.»

«Potrò… potrò vedere questo sogno realizzarsi?»

L’altro uomo però non aveva fatto in tempo a rispondere che un messo era entrato in fretta e furia nella stanza.

«Mio re! Mio re!»

«Cosa succede?»

«I Franchi… non hanno gradito la sua risposta. C’è un manipolo di uomini a Sud che muove contro di voi… e uno dei vostri cavalieri li sta aiutando. Sta reclutando persone da ogni dove per supportare i Franchi e muovervi rivolta.»

«Chi è costui?»

«Ser Mordred, mio re.»

Il cuore del re si era riempito di rammarico.

«Dove sono quegli uomini?»

«A Sud, mio re. Si stanno dirigendo verso Londinium.»

Aveva guardato l’altro uomo, nell’abito, che non aveva distolto lo sguardo dal suo re.

«Merlino, abbiamo bisogno di lei.»


E ora finalmente lei era con lui, di nuovo.

La cavalcata fu lunga, ma il re arrivò nel minuscolo villaggio spettrale di Londinium. Abbandonato da decenni, ogni cosa era un rudere, ogni cosa era devastata. I pochi marmi rimasti dei templi e dei circhi erano rotti e invasi dalle piante. La sera stava arrivando e la luce iniziava a essere poca, ma trovò presto le varie tende dell’accampamento. Si fece strada all’interno, senza che nessuno lo fermò. Riconobbe un uomo che lo aspettava, fuori dalla sua tenda.

Anche lui si stupì di quella figura così importante che si era addentrata in un accampamento ostile. Senza alcun seguito.

«Ser Mordred, quello che ha fatto è inaccettabile. Ha tradito la fiducia del Regno. La fiducia dell’ordine dei Cavalieri al quale fa parte. La mia fiducia. Vengo da lei, per sistemare la situazione da gentiluomini. La sfido a duello. Qui. Ora. Accetta?»

L’altro rinsavì e pronto disse:

«Accetto.»

Il re scesa da cavallo. E la impugnò.

Tutti la conoscevano. Tutti la temevano. Mordred deglutì, quando la luce della spada del re s’impadronì dell’accampamento dove il sole era già tramontato.

«Pensavo che la spada caliburna fosse una leggenda.»

«Non lo è…» disse il re «…è la spada che salverà la Britannia.»

E così dicendo sferrò un veloce fendente all’avversario, che però fu rapido a evitare.

«Allora dovrebbe spezzarsi, mio re. La blasfema magia pagana che l’anima è la prova di come sia l’arma che porterà la Britannia dritta all’Inferno.»

Ancora un altro fendente e Mordred cercò di parare il colpo, ma la sua spada si tagliò di netto al contatto con quella luminosa del re e fu solo per fortuna che riuscì a evitare che quella guizzasse contro il suo corpo.

Prese subito un’altra spada.

«Il fato non è dalla sua parte, giovane Ser Mordred.»

«Ma non vede cosa sta facendo, mio re? Lei ha a disposizione l’arma più potente del mondo, lei potrebbe restaurare l’Impero da solo, ma non lo fa! Non è codardia questa? Risponda maestà, non ha giurato fedeltà a Roma lei? Mi dica che non è vero!»

E il re fu pervaso dai ricordi. Ricordava una vita lontana, una vita passata. Una vita con degli ideali. Inaspettatamente, la luce della sua spada diventò più flebile.

Mordred non si fece scappare l’occasione e colpì subito il suo sfidante, che parò il colpo. Ma stavolta la spada di Mordred non si spezzò.

«Forse, mio re, è diventato pavido. Si è trovato comodo in Britannia e ha tradito i suoi ideali. Ha tradito l’Impero. Ha tradito Roma. E ora che le viene data l’occasione per ricostruirla… la dimentica.»

Ancora una volta Mordred aveva messo a segno un colpo perfetto in quella sfida che diventava più di parole che di lame. La luce della spada diminuì ancora e stavolta la velocità del giovane ebbe la meglio su quella del vecchio re, mettendo a segno un colpo perfetto, trafiggendolo nel ventre.

Il re cadde in ginocchio, mentre il suo sangue iniziava a scendere a fiotti dal suo ventre. Tenne la spada leggendaria salda, a sorreggerlo, mentre la sua luce cessò.

Ricordò di un’altra battaglia.

Un vallo.

Un’aquila che cadeva.

Un amico che gli stringeva la mano.

Un amico a cui fatto una promessa.

Mordred guardava dall’alto in basso il re in ginocchio, stupito di una vittoria che forse nemmeno lui aspettava. Si preparò a dare il colpo di grazia.

«Io… io…» il re parlava a stento «io non ho mai dimenticato Roma.»

Sputò del sangue.

«Questa… Questa è Roma.»

Tutto d’un tratto, la spada s’illuminò di nuovo, più forte che mai, fino a diventare accecante. Del vento iniziò a spirare attorno ad essa, metre dei piccoli fulmini si sprigionavano.

Mordred, ormai sicuro della vittoria, inorridì.

Dalla spada si sprigionò un’onda di energia, che corse in ogni direzione.

Un boato tremendo animò la sera tranquilla.

Ogni cosa attorno al re sembrò distruggersi, l’accampamento, le persone, Mordred, tutti furono dilaniati da quell’energia inesorabile che avvolse le rovine di Londinum. Poi, tutto cessò. La sera tornò, tranquilla.

Non c’era più nessuno intorno, solo lui.

E la sua ferita, dalla quale continuava a perdere sangue.

Ma l’uomo avvertì di non essere solo.

«E così… E così è tutto finito?»

«Sì, mio re.»

«Mi hai… mi hai… mi hai fatto una promessa, Merlino.»

«E siamo qui per mantenerla, Ambrosio.» disse una voce femminile, e il re riuscì a vedere Morgana, vicina a lui.

«Deve sapere, mio re, che questo suo regno cesserà. Verranno popoli che lo conquisteranno. Ma la sua memoria non sarà mai perduta, come mai sarà perduta la cultura romana che lei ha così tanto preservato, che caratterizzerà le generazioni future.»

Dicendo questo il paesaggio cambiò, la notte si trasformò in giorno e mille edifici sorsero sulle rovine che i tre avevano intorno. Le persone iniziavano a popolare le strade e il vicino fiume si riempiva di imbarcazioni sempre più complesse.

«Che cosa… che cosa sto guardando?»

«Questa città, mio re. Londinium… o forse dovrei dire Londra.»

«Ma… ma… è stata abbandonata.»

«Verrà ripopolata. Diventerà la capitale dell’impero più vasto che il mondo potrà mai vedere. Le sue navi» indicò il fiume, popolato ora da mille imbarcazioni, sempre più grandi «solcheranno qualsiasi mare.»

Il villaggio ora era diventato una città, una città sempre più grande dove le abitazioni diventavano sempre più alte, e chiese imponenti venivano costruite.

«Sono grandi le sfide che dovrà affrontare…» continuò a dire, mentre all'improvviso un fuoco terribile divampò ovunque e la città sembrò nuovamente devastata, ma poi nuove abitazioni comparvero, nuovi monumenti e chiese di marmo «…ma saprà risollevarsi sempre. Ci sarà un giorno in cui verrà chiamata alla sfida più grande…» all’improvviso un suono ripetuto, assordante, sembrò impadronirsi dell’ambiente, seguito da mille esplosioni nei vari edifici, provocate da strani oggetti che sembravano cadere dall’alto. Il re riuscì ad alzare lo sguardo, per vedere degli uccelli che sembravano rincorrersi veloci nel cielo e lanciarsi strani raggi di luce.

«…ma anche allora il vostro popolo si unirà e affronterà il nemico…» dicendo così uno di quegli strani uccelli cadde in maniera devastante a pochi passi da loro, mostrando di avere una velocità incredibile e di essere gigante, provocando gravi danni agli edifici e alla strada dove si trovavano. Sembrava fatto di metallo, come l’armatura del re. Aveva un simbolo sulla sua coda: una svastica. «…e sarà allora che questa città e il suo popolo saranno il faro di speranza del mondo intero.»

La devastazione terminò, i cieli tornarono limpidi, e ora nuovi incredibili palazzi, altissimi, si stagliavano nella città. Sembravano fatti di vetro.

E poi, subito dopo, tutto scomparse, e le rovine di Londinum tornarono attorno al re.

«Sire, questo è il suo popolo. Queste sono le sue genti. Questa è la grandezza che lei ha portato. Il suo nome non sarà mai dimenticato. La sua leggenda risuonerà forte nei secoli e mai verrà scalfita dall'oblio del tempo, Re Artù di Britannia.»

Il re sorrise, mentre le lacrime gli scendevano dagli occhi.

«Grazie. Grazie… Grazie di tutto.»

E dicendo così, cadde. Con la sua fidata spada, compagna di mille avventure, accanto a lui.


 

Nota storica

L'Europa immediatamente successiva alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente - 476 d.C. - si divide in una costellazione di regni formatesi dall’interazione delle popolazioni barbariche con quelle latine, mentre a Oriente l’impero Romano continua a sopravvivere, con l’impero Bizantino. Sono numerosi i tentativi di una restaurazione dell'Impero Romano, a partire dai Bizantini stessi, che organizzeranno varie spedizioni in Occidente, ma riusciranno a occupare solo pochi possedimenti del vecchio Impero, soprattutto in Italia e nell’Africa del Nord. Sicuramente il tentativo più di successo sarà quello di Carlo Magno, che nell’800 verrà proclamato imperatore di un esteso territorio comprendente quello delle attuali Germania, Francia e Italia centro-settentrionale e che diventerà proprio il Sacro Romano Impero, la continuazione ufficiale dell'Impero Romano. Nell’Europa post-romana si vengono anche a consolidare realtà che saranno le basi delle nazioni odierne. Un esempio è quello della Francia, riportato nel racconto: la popolazione dei barbari Franchi si assicura immediatamente il controllo del territorio della vecchia Gallia, distruggendo ogni resistenza romana ancora presente (il magister militum Siagrio fu l’ultimo vero rappresentate dell’Impero ufficialmente a possedere ancora un piccolo territorio, nei dintorni dell’attuale Soisson, e fu sconfitto anch'egli dai Franchi nel 486). Nasce la dinastia dei Merovingi, che converte il regno al Cristianesimo, strizzando l'occhio ai Papi di Roma e ricevendo in cambio la loro benedizione.


Qualcosa di simile non accade nell’antica provincia romana della Britannia, nelle isole che ora ospitano il Regno Unito, divisa tra le varie popolazioni di Angli, Sassoni, Britanni, senza contare i romani rimasti sul territorio. Se nel racconto il leggendario Re Artù si elegge a Re della Britannia, in verità il (probabile, dato la leggenda della sua figura) suo controllo è basso e la sua potenza ridotta. Come accennato da Merlino, la Britannia verrà invasa nei secoli successivi, e solo nel 1066, con la battaglia di Hastings, i Normanni di Guglielmo il Conquistatore stabiliranno un controllo effettivo e duraturo sul territorio. Nel racconto la leggendaria Camelot, centro del regno di Artù, è stata posta nella città di Camulodunum, odierna Colchester, capitale della provincia romana della Britannia e senz’altro una delle città più importanti della regione, ben più dell’attuale Londra, che viene abbandonata subito dopo che i Romani cessano di esercitare il proprio potere su di essa. Grazie a Merlino Artù riesce a vedere il futuro del suo popolo: vede l’abbandonata Londra rinascere, la sua espansione, la costruzione dei suoi edifici in legno e la costituzione di una grande flotta mercantile e militare nel Tamigi, la vede distruggersi nell’incendio devastante del 1666 per ricostruirsi subito dopo e affrontare quella che Merlino definisce la sfida più grande, ovvero la Battaglia di Inghilterra della Seconda Guerra Mondiale, nella quale la Luftwaffe nazista mette in ginocchio la città, che però non si arrende. Merlino afferma che in quell’occasione il popolo britannico e Londra saranno i fari di speranza del mondo intero e, in effetti, è da molti considerato che una eventuale capitolazione della città in quella battaglia, e la conseguente chiusura del Fronte Occidentale, avrebbe fornito un significativo vantaggio all’Asse, con la probabile vittoria delle potenze nazi-fasciste della guerra. Infine, Merlino mostra ad Artù la Londra moderna, con i suoi grattacieli di vetro.

Il racconto prende largamente ispirazione alle leggende del ciclo arturiano e prende in prestito tanti personaggi, come la Fata Morgana, che in questa interpretazione coincide con la Dama del Lago che ridà la leggendaria spada luminosa - l’Excalibur della leggenda - ad Artù, Merlino, la regina Ginevra, il leggendario cavaliere Lancillotto e l’acerrimo nemico Mordred, che Artù uccide in uno scontro in cui muore anche lui. La leggenda però non narra che la storia di Artù finisca a Londra, bensì in un altro posto…

 

Un uomo e una donna camminavano a passo svelto, ai piedi di una montagna circondata dall’acqua. In maniera irreale un lettino li seguiva, autonomamente, sorvolando la terra ad altezza uomo. Su di esso, un lenzuolo sembrava coprire una sagoma umana.

Arrivarono davanti una lastra di pietra levigata. Senza smettere di camminare, la donna fece un gesto e la lastra sembrò dividersi, rivelando un lungo corridoio.

«Quanto ancora dovrò aspettare prima di sentirmi dire che avevo ragione… Morgana?» disse l’uomo quasi in maniera scherzosa.

«Quando la smetterai di chiamarmi con quel nome. O vuoi che continui a chiamarti Merlino?»

«A me non dispiace, a essere sincero.»

La donna sospirò, continuando a camminare nel corridoio. I due arrivarono presto in una grande sala, l’interno della montagna. Tutto era insolitamente illuminato e le pareti levigate erano cosparse di rettangoli di vetro con mille scritte luminose.

Il lettino prese posto al centro della stanza e la donna, priva di ogni riguardo, tolse il velo su di esso, buttandolo a terra, rivelando il cadavere che nascondeva. Non si preoccupò di lui, ma prese un altro oggetto che il lettino portava: una spada di vetro.

La fissò.

«Questo non è possibile.» disse sotto voce.

«Cosa non è possibile? Che una Xifote si spenga?» rispose l’uomo.

La donna sorrise.

«Xifote? Ti sei davvero fissato con i nomi degli umani.» e dicendo questo mise la spada all’interno di una fessura nella parete.

Guardò i vari vetri della stanza, che si riempirono di schemi e nuovi simboli.

«I potenziali sono corretti, il livello di materia è stabile. Non capisco.»

«Forse dovresti rassegnarti a credere alla leggenda.»

«Ti dico io a quello che credo. Credo che faremo un’autopsia completa a quest’uomo, vedremo esattamente quello che è successo.»

«Dubito che questo sarà necessario» s’intromise una nuova voce, giovane e squillante.

L’uomo e la donna s’irrigidirono, notando la nuova presenza.

«Così, l’uomo è riuscito a controllare la spada a suo piacimento.»

Un bambino guardava il cadavere sul lettino.

«Che fantastica svolta per l’Esperimento. Siamo sempre più prossimi al momento delle grandi verità.»

Il bambino rivolse ora lo sguardo all’uomo e alla donna.

«Condurremo numerosi studi sul materiale che ci avete fornito, vi ringrazio, fidati agenti. E bentornati ad Avalon.»

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